Francesco Giacobelli

1 AGOSTO 1985
Personale Sala Palazzo Pretorio Comune di San Sepolcro SAN SEPOLCRO (AR)

ALBERTO FIORENZATO, OVVERO, LA PITTURA COME VIAGGIO NELLA VERTIGINE ALLA RICERCA DELLA CONDIZIONE UMANA.

Se la condizione che caratterizza la nostra epoca é l’ansia, secondo l’intuizione poetica di W.H.Auden, ansia dalle mille forme ed aspetti, ansia che si maschera, a volte, di euforia, ansia che costringe a ubriacature di ideologia, ansia che si insinua negli aspetti e negli atteggiamenti minimi dell’esistenza e che puó innalzarsi fino all’apocalisse di una impedente catastrofe planetaria, se insomma é l’ansia ad essere l’agente rivelatore della condizione umana del nostro tempo, allora, ALBERTO FIORENZATO é pittore nostro contemporaneo, nello spirito delle sue opere, nella tensione pulsante della sua pittura prima ancora che nei segni, nella tecnica e nella formazione culturale che presiedono alla genesi dei suoi dipinti. Nelle opere giovanili FIORENZATO traccia da subito il suo ritratto di artista, impegnandosi in disegni e colori che sono una freudiana fuga dalle ansie dell’analisi del proprio ego. I risultati di quelle prime prove gli muovono una certa tenerezza: non le rinnega ma fanno parte di un mondo pittorico che ormai non gli appartiene piú’. Razionale, quanto razionale puó essere un artista, ALBERTO FIORENZATO si cala nella realtá’ del suo tempo e, mentre si susseguono gli anni di piombo del terrorismo e gli intellettuali italiani si contorcono nelle mille contraddizioni del nostro recente passato, il nostro giovane artista si sviluppa seguendo un’ellissi che si immerge nella propria interioritá’. Laureatosi in architettura a Venezia, esercita con impegno la propria professione. Ed é la sua professione di architetto che gli porge una inaspettata fonte di ispirazione per la sua pittura: il contatto con la realtá’ professionale, il territorio che cede al compromesso la propria naturalezza, diventano come in una epifania, la folgorante rivelazione della condizione umana. L’occhio dell’artista si leva ad altezza vertiginose sopra la terra, l’individualitá ,scompare assorbita nelle macchie di colore, e il rilievo che ci circonda, familiare nella vita di tutti i giorni, si appiattisce in un gioco di linee che si sprofondano nelle tonalitá’ dei colori a differente gradiente di luminositá’. Ma non si tratta di una fuga dalla realtá’, di un rifugiarsi nella contemplazione, anzi diventa esattamente il contrario per FIORENZATO che di questo levarsi sulla quotidianitá’ del reale fa una áskesis, un esercizio rigoroso, delle proprie facoltá’ mentali alla ricerca della condizione umana. I quadri di FIORENZATO sono una mise en abime del risultato delle sue ricerche. Mise en abime, secondo la terminologia araldica, ovvero la piu’ antica e nobile delle trascrizioni pittoriche dei simboli, sta a indicare la visione dell’immagine che si sprofonda come ’ in un abisso ’ sotto la verticale di chi la guarda. Per chi contempla questa immagine, essa implica una vertigine, come se si protendesse sul parapetto di un pozzo senza fine, o di un abisso. E l’immagine precipita come in un incubo e si modifica e assume forme e colori che variano con la distanza dallo spettatore. Ma la realta’e’ immutata,e’ forse immutabile.Quello che sta cambiando e’ il suo effetto ottico sulle terminazioni nervose e nella psiche dello spettatore. Non a tutti é dato di sospendersi sugli abissi e di contemplare le loro insondabili profonditá’, o di seguire lo sprofondarsi di un qualunque brandello di realtá’ che in loro leviti galleggiando e scivoli per perdersi. La vertigine, il malessere, sono la conseguenza immediata, la punizione per chi esplora gli abissi. E questo da sempre, nasce con la storia dell’uomo e in occidente e’ testimoniato dall’antico mito di Icaro. Ma FIORENZATO e’pittore nostro contemporaneo, e la sfida all’abisso e’ momento essenziale della nostra cultura, sprofondarsi nel microcosmo, innalzarsi nel macrocosmo, in compagnia di Freud, o con un microscopio, o dentro una navicella spaziale, diventano esperienze intellettuali compiute quotidianamente, se pur con diversa intensitá’ di coscienza. Ma FIORENZATO e’ un artista, un pittore, un pittore veneto, ha nei cromosomi, prima ancora che nei pigmenti dei suoi quadri, una tradizione di rapporti col territorio che non esclude il mistero, anzi, conserva da sempre una traccia di interiore serenati’. Il suo levarsi sull’abisso non ha cariche di demoniaca ribellione ma denota curiositá’, stupefatta ammirazione, autocoscienza della vertigine controllata razionalmente, senza i deliri ottici e mentali del campo di grano abbacinato dal sole di Van Gogh, per intenderci. Inoltre, un pittore veneto respira, e’ immerso in una tradizione non solo intellettuale e iconologica, ma anche nobilmente banausica, artigianale, che include accanto al bello’ anche il ’ben fatto’. E nella ricerca del bello e del ben fatto, FIORENZATO stabilisce con Gianni Longinotti un sodalizio, profondo e vitale come nella tradizione delle antiche scuole di pittura, quando il giovane di talento si recava nella bottega del Maestro per apprendere l’arte, il mestiere, la sapienza, il mistero. Non si potrebbero individuare due personalitá’ piú’ diverse, piu’autentiche. Che cosa ha spinto FIORENZATO ad avvicinarsi a Longinotti e che cosa ha spinto Longinotti ad accogliere Fiorenzato, sono due fenomeni complementari e non spiegabili in termini che non siano artistici: come nessuna poesia semplicemente alluda ad un’altra e come il significato di una poesia puó’ soltanto essere un’altra poesia, cosi’, per analogia una pittura é la strada nascosta che conduce ad un’altra pittura. E anche questo é un processo marcato dall’ansia della creativitá’, dalla impostazione pittorica che si pone in tensione dialettica col discorso pittorico generale. Cosí’ la pittura astratta di FIORENZATO, levata in vertiginosa contemplazione del territorio umano espresso in linee e colori, incontra la raffinata, sofisticatissima figurativitá di Longinotti. L’incontro, forse misteriosa congiunzione astrale, avviene a Padova quieta retrovia del fronte Milano-Roma, brulicante di mercanti, riviste, addetti ai lavori, lontana anche dalle risonanze della pur vicina Venezia. E nella ’bottega’ del Maestro, FIORENZATO passa lunghe ore a perfezionare le tecniche miste, impastare i colori con l’introspezione, dosare il reale e l’ovvio con il mistero e il senso di tenerezza che questo mistero che e’la vita gli ispira. Dimentico delle sembianze dell’uomo, FIORENZATO vola sulla vita, teso dall’ansia di rivelare la condizione umana che gli si svela colta nell’insieme di tanti elementi. E le "lingue silenziose dell’acquitrino" accarezzano con vapori di freddi il terreno intorno e le sue micronizzate manifestazioni di vita. L’acqua che’ tanto fondamentale nei rapporti con la terra del Veneto, ora fiume, ora laguna, ora mare, torna alla sua funzione primordiale, quando ancora la vita non era che impercettibili movimenti attorno alla informitá emersa. Queste le prime sensazioni da "primo incontro": "la spiaggia", "ritrovarsi", "palude", "acque stagnanti", oppure "fiume","incontro con la cittá", per citare alcune tra le opere in mostra. Ma non c’é solo la razionalitá’ che e’ necessaria per salvare la confronta con la vertigine di voler vedere il mondo dall’alto, ma mente dal delirio, se pur non ne attenua l’ansia, quando ci si da molto in alto. Dalla pittura di FIORENZATO, davanti ad un suo dipinto, si prova un senso di tenerezza verso la condizione umana ,vedi il rosa che nelle varie gradazioni si stempera in un bianco incantato nelle sue ultime composizioni, che propone un barlume di speranza, un accenno aurorale, la fiducia di un giorno che comunque rinasce a proporre luci, forme, colori, dal freddo al caldo, dal tenero allo straziante, di quella eterna vicenda che torna a riproporsi in tutti i suoi valori, che e’ la vita.